┼ Missa Est ┼
29.5.04

 
Ode all'Oceano in Bara Elettrica
amore celeste crollo stanco e tu a rivestirti
per quando un giorno lo smetterai, quel piede nudo
sulla bocca a zittirmi le deposizioni ripetute a noia
ad un vento mercante che invece di promettere
russava vapori fra i muti urli di popoli sommersi

e quando mi spegnerai la gozzoviglia di sventura
che vive ancora per sapere: chi sono chi sei quando
mi lascerai, al momento che la morte ci separa o riunisce
e riavere i suoi fottuti anelli noleggiati per amore

ridichiaro l’affetto che la vita non bastò ad uscirmi la pelle
l’anca d’oceano profonda che vibrando la mollezza del mio volto
quand’egli è cielo ed annuso: l’infinito a scompormene
mentre le gambe affossano, spasmodicamente tese ad alleviarmi

l’ancia del mare profonda che freme
vibra i muscoli avvolti alle vene
ribalt’amare tu, che puro vaghi e sparisci
ribalta mare tu, come un foglio dal retro nero
qua nell’occhio pregno del buio aiutami
a trovare una goccia di pensiero fenice
caduta sulla pelle secca e cruda del cielo.


e


qui perso d’acqua in acqua per le mute campane
come una preghiera, conto le ore ai naufraghi
matrimoni di me nel sangue e conchiglie
replicando questi occhi oblunghi al firmamento

(riacceso)

salmàdio gettato avvolto
in lenzuola di luce
verso correnti polverose
affamate d’illuminarsi.







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22.5.04

 
M'Estrovento a Terminare


m'estrovento a terminare


Il sorriso è un crematorio che a volte
necessita di specchiarsi nel mio volto
sozzo di sogni già mezzi putrescenti che lui
mezzadro di questi conati affabili pianto
ne imita il tracheotomismo dolce.

causativamente lui, prima è: assaggiarne
le vene appese d'un soffio intenso, inerme
respiro poggiatosi al buio, gonfio;

quindi le gambe rivolgersi a sbadigli e tremori, poiché affetto
stava allo scherzo come ancora cader senza alcun trucco
od inganno e di me esangue dissezione, in vasche d'argento a:

mutare a nuotare a
qualche colore e suono di qualche parola che pure talvolta ho
dimenticato:

oh. la vita diede poiché la vita chiese
in grave luce non dando lei ti venn'e prese
dentro ai seni-reni, cobalto a purtificàrsi

ma tant'è, questo dono che par te lo dono

quello che occhi sotto luna omosessuale e fiammante
ti aprivo sopra ai denti- questo il mio dono prendine
sui fiori prestampe in morbida stoffa di gonna

di quelle che mi piacevano
assai se le indossavi
(sembrando la tomba del grano estivo
ma anche un vivaio dei tramonti, dicevo
ma anche custode dell'ombra
sulle dita fonde, sorrisi)

e sembrando la serra-dedizione
di un cristo poeta affacciato alle tue gambe
la testimonianza sbattuta prona
al tuo piacere grossista,

centesimo uno centesimo tuo
specchio a riflettersi curvo
e come corvo non ravvisarti
sembrando riderti che invece gridi
al crescere di questa: frenesia

che nel tatto e dal tratto tutto a volgersi avverso un verme
terrore che il cuore frattaglia di vetri gratteràndo il marmo a gelo

cadrà lui con lei mano a mano e nella mano
scivoleràndo a sè cortei a stringersi
salme di mani di luce n'istante

che nel punto mi fai fermo

buioti
sarò fumo di fiaccole spente a tossire
irreligiosamente stretto alle tue gronde
e dimora
del grumo mensile che lunare abbandono







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