┼ Missa Est ┼
29.8.04

 

A dire quanto sotto le spoglie


A dire quanto sotto le spoglie
, foglie strappate giace il verme
che è così improbabile sgualcire il sogno di tornarci

Tanto per dire quanto è spoglia questa notte di tutti i comfort
domattina se pensi a rivoltare le ore che intanto ti sfrecciano via
che intanto ci aspettano, mute. E tirano la gonna per farsi pettinare
l'una nell'altra alle due, tre, quando, anche senza compassione

, quest'orologio con il rumore di temperatura
il sonno l'ho atteso nella gola per richiamare

Questo comune accordo di scimmie addestrate al resto niente
questo breccia fra lo stomaco e concentra le vie tutte per i rami
torno e ripatisco, questo ornavo le braccia di david elastici ingrassati
aspettando il ciglio della consolazione, la rosa morta sul davanzale

, seccano, le strofe da bollire lungo le falesie rotte del bronzo

A quanto dire che siedo spoglio
, figlio strappato sul ventre


così improbabile da sgualcire
il sogno di tornarvi.




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20.8.04

 
cnun te cih (con te ora) :: a quaranta mani con la propria zia Lilli Hofer





cnun te cih

vento nel mutuo corpo spermatofora, riassorbendo
al feto come una straripazione di glassa strutturata
e il respiro che assume in sè la polvere baciata dal sole
per smentire che il burro del mattino fosse un'agonia nuova

batterio lirico, la commozione del perdono consumata
negli incroci dei canali marziani, artifici d'ali inconsolabili
sugli zigomi piallati come se rimasero incinti
all'ultimo carnevale che finiva assieme agli orgasmi di tutti

amore, incolpami di coda, sulle falene dell'armadio
mentre scegli il vestito per aspettarmi inerte
otto infinite gambe senza strumenti a corda

ribollita di arpie, radiocomando per le vedove
vita frantumata in digitale, sorridente bimbo dello spot
che mi raccoglie un fiore eterno dai pannolini

e sciami di esecuzioni capitali a buttarsi le braccia al collo
frangesguardi a doppiovento precisi ai nodi che sfracella
dondolando nei metri del baldacchino come sale filato
cabriolet che sogna nell'angolo la neve sopra i materassi

visti da dentro, le angustie dell'infanzia nel colmo dell'impronta
delle spazzanevi cattive se mangiano brividi, e l'ovatta, solo minuti fa
fare la pancia, le decorazioni e nelle scarpe tutto il trangugiare
fiocchi profondi nella pala, piccolo, qua è la una banderuola, un groppo

ma tu basta che suoni, e guardi da sé chissà dove, arrivando al fosforo

e i folli sgominature appena accennate, io che vorrei respirare la menta
del paradiso appena bruciata nella carta, solipsi come il nome di un nuovo
ghiacciolo per bimbi manticora di flauti avvelenati, grondanti labbra orali

ma cosa sto dicendo alle tre del mattino a chi voleva solo un sorriso
riprodotto enumerato alle audaci retromarce, che non grida fino in fondo
avvolto nel diluvio chiaroscuro, che non cola la capsula papavero sotto
la cataratta

sull'ararat e lassù non si respira che il bilico della particola succhiata
semmai m'imbatto anacronismo in qualche gelo prima dei rimbombi quando
la mano azzurra è come l'equiseto e quella sinistra al buio viene chiara

succhiare l'indolore a tutti i buchi è la sutura delle crepe capillari
a labbrafinite di ferite sulla fronte e filamenti ovunque di cavetti e fibre
come sui lacci per le vene che sgocciano cuorerosario a milligrammi l'atropina

che sono caduto dal cielo maledicendo, che ovviamente sono l'ira
del dio che da adesso esiste e mi cerca, buono e perdono, voyeur
che sono salito nell'inferno a giudicare, mentre se parlavo alzavo solo
polvere di occhi morti da tempo nel suono continuo di tutte le disperazioni






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15.8.04

 
Aspersa nel Cupio Volere







Montagne rosa distillate in singoli mantelli le tue gambe
e la sete d'odore vicino ad esse dolcemente rannicchiata
nasce nel bacio di pensiero, un soffio umido e vicino
da fondermi nell'interno con la voce nuda ed incerta

a dirti frasi d'intimo solletico alla pelle

E nei tuoi occhi sovraesposti sul fondo di un ricordo
si nasconde un varco così ìmpari da sventrare a nero
il negativo della notte in cui vivo i malintesi

latteo sulla schiena di sapermi amaro

E smettimi di carezze, affondami nelle chiavi di volta
ammettimi ai desideri e poi offrimi fra le ginocchia

che le farfalle di dolore volino via come pipistrelli

E azzurra queste mani a forza di stringerti, e copri
teneramente i denti che nel sonno imprimono a fondo
il nervo nella roccia con cui mi strazio l'universo,

prima che il suono impaurisca

E voltati, e sorgimi, e gettami nel temporale
e aiutami a svestirmi prima di non uscire
specchiami nel volerti, desiderami sulle spalle
entra, richiudimi a chiave,

e interrompimi,

Prima che il suono mi sia








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1.8.04

 
Nazionalità Suicida









Sono sempre 4 maledette mura bianche, ci vorremmo i gioielli
tridimensionali astratti ma ingombranti; quanto è trasparente
il fuoco degli occhi che s'impaglia facendosi i buchi nel cuore
si posa e trasfonde, si spoglia e denuda, vola via nei frantumi

Ma cos'è il tempo che non si ha, lo si perde cercandone i suoni
coagulando nelle vene per morire soffocati nel respiro, a vuoto

E radente al muro passano i cigli dei fazzoletti bianchi
se ci appoggi l'orecchio sei pazzo, ma se li senti
scrivimi una poesia che racconta di guerre fra grani
di polvere sollevata sbadigliando nell'acqua sporca

L'arcidiavolo con le pinne snocciola gli epiloghi di tutte le malattie
mi saluta o mi uccide, non vedo bene, le mani però si sfiorano stanche

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Elettro candido e panacea visibilmente intaccata dagli insetti
che sembra sciogliere le vergini nel fango, oscurare le fiamme
irradiare le piaghe sulle ossa di ghiaccio dal lume velenoso
le sposto sullo schermo al neon per un graffio che urla DIO, DIO

solo lui lo vuol fare, come una foresta che marcisce senza nessuno
che la rimpiange, senza vermi a soffrire il troppo cibo e scoppiare
nel rumore sordo dell'ape regina quando tutti ormai l'hanno in coda
e schiacciata dal peso dell'alveare riscuote la dovuta morte

"così io", disse il pescatore di salme, che ho guardato nelle scollature
le vergini di cotone piegate sul sale e sul limone di sera, ubriache

e se fossero gambi rosa quelli dei fiori, a piegarsi nel vento materno
che genera corti di poeti e cortesi signori dalla tenera ombra (e lama)

mi perdo a fiato nel frastuono degli archi, di terra e paesi diroccati
ricordati dal fatto che non sottendo più la vita antica che porta
la fine in mano, dono al vetro fra cui mi vedo
paralizzare











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